Foglio di terapia

Sommario

Terapia

La terapia con farmaci anticoagulanti orali ha trovato negli ultimi tempi una sempre più larga indicazione, per il trattamento e/o per la prevenzione di numerose condizioni tromboemboliche, sia per cicli relativamente brevi (da qualche settimana a qualche mese) sia per lunghi o lunghissimi periodi (per anni o per tutta la vita), in molti campi della patologia vascolare (venosa o arteriosa), di interesse medico, chirurgico o specialistico.

Scopo fondamentale di questa terapia è quello di deprimere, in modo controllato e reversibile, la coagulabilità del sangue e, attraverso questa, più in generale, una complessa e fondamentale funzione omeostatica, quale è l’emostasi in modo da ottenere un ragionevole compromesso fra i due obiettivi contrastanti: la massima protezione possibile dagli incidenti tromboembolici con il minimo rischio di emorragia. In altre parole, si tende a raggiungere e mantenere un livello di anticoagulazione (range terapeutico), tale da soddisfare al meglio questo compromesso.

I vantaggi degli anticoagulanti orali indiretti (antivitamina K) sugli anticoagulanti diretti (eparine e simili), rappresentati principalmente dalla possibilità di somministrazione orale e dal basso costo, superano largamente gli svantaggi (necessità di controlli laboratoristici ravvicinati e maggiore difficoltà nel controllo delle complicanze emorragiche), specialmente per i lunghi trattamenti.

La condotta pratica di questi trattamenti presenta però una serie di problemi, non tutti completamente risolti, che impongono particolari attenzioni e una informata collaborazione fra il paziente, il medico di base o lo specialista, responsabili della terapia, e il patologo clinico, che deve eseguire i “tests” di controllo.

Questa integrazione è meglio ottenuta in Centri Specializzati che si occupano appunto del trattamento delle condizioni tromboemboliche (o più generalmente, della patologia dell’emostasi), una realtà che non è però la regola, nel nostro paese come è in vari altri.

Al di là, ovviamente, della assoluta mancanza di pretese accademiche o letterarie, questa versione è aperta a qualsiasi contributo, che valga a correggere inevitabili imprecisioni o errori, ma anche ad apportare positivi perfezionamenti per prossime edizioni
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Foglio della terapia

È importante prima di incominciare al illustrare le varie norme di pronta consultazione, parlare del foglio della terapia che più di ogni altra cosa è consultato quotidianamente dal paziente.

In alto a sinistra il foglio (che i pazienti ritirano preso il centro a ogni controllo) presenta il codice a barre che identifica con esattezza il paziente. È utile per tanto non scambiarsi il foglio tra amici, e meno che mai perderlo.

Sotto il codice vi è sempre il nome del paziente, ed è molto importante che i dati anagrafici siano controllati con scrupolo dalla persona in cura, anche perché potrebbe capitare che alla consegna delle terapie un foglio sia scambiato con un altro.

Alla destra del nome e cognome, un poco più in basso è segnato in grassetto un numero preceduto da una sigla: INR (International Normalized Ratio), che indica il livello della scoagulazione.

Il numero 1 è il valore INR di coagulazione di una persona normale (non in terapia). Man mano che i valori si alzano, quindi 1.3, 1.5, 1.8; 2, 3, 4, 5, ecc. si è sempre più scoagulati. Cosa significa? Significa che a partire da 1 a salire, se capita di tagliarsi si sanguina un po’ di più. Per esempio chi ha valore 3 sanguina di più di uno che ha valore 2, e così via.

Questo valore numerico espresso in INR è il risultato del test che ogni mattina il tecnico di laboratorio esegue sul campione di sangue prelevato al paziente.

Sotto all’INR vi è scritto Range, che è un termine inglese che significa intervallo, o per meglio dire, il valore minimo e massimo entro il quale il livello di scoagulazione può oscillare. Cosa significa? Significa che se il minimo è 2 e il massimo è 3, i valori che vanno bene possono essere 2, 2.3, 2.6, 2.9, 3. Questi valori non devono scendere possibilmente al disotto di 2 e salire al di sopra di 3.

L’ottimo sarebbe poter stare in mezzo. Sul foglio della terapia, la media tra minimo è indicata a fianco della voce Target, per esempio tra 2 e 3 la media è 2.5.

L’obiettivo della terapia è proprio quella di far entrare il paziente tra un minimo e un massimo suggerito dalla patologia (malattia) cercando di avvicinarsi il più possibile alla media. Per ottenere questo risultato, le persone in cura devono assumere giornalmente una quantità di farmaco che può variare a seconda dei casi da ¼, ½, ¾, 1, 1 + ¼ , 1 + ½, e cosi via. La dose è determinata dal medico del centro, ovvero il PT (tempo di protrombina) espresso in INR. La posologia può essere consegnata al paziente dopo un breve colloquio per eventuali chiarimenti. I medici consigliano di mettere sempre una crocetta tutti i giorni vicino alla dose di farmaco da assumere per evitare eventuali dimenticanza. Le variazioni vanno segnalate sul foglio.

Sulla destra del foglio è riportata la data del controllo successivo: che va sempre rispettata. Si può tollerare l’anticipo per cause serie, ma mai il posticipo altrimenti si rimane scoperti.

Il tempo fra i due controlli può essere più o meno lungo, e va da pochissimi giorni fino ad un massimo di quattro settimane. Questi tempi variano a seconda che i valori riscontrati di INR siano più o meno stabili e in range terapeutico. Ciò significa che se l’ottimo è avere un INR di 2.5 e si trovano valori di 2.4, 2.6, 2.5 il paziente così stabile può essere controllato a scadenze più lunghe, mentre valori sono prima 1, poi 4, poi 2 ed in fine 5 impongono un controllo a pochi giorni, per poter stabilizzare l’assistito.

Ricordarsi di PORTARE IMPEGNATIVA.

Questi opuscoli sono realizzati grazie alla disponibilità dell’AIPA (Associazione Italiana Pazienti Anticoagulanti). Hanno solo finalità divulgative ed educative, non costituiscono motivo di autodiagnosi o di automedicazione, non sostituiscono la consulenza medica e non rappresentano messaggi pubblicitari.
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a cura di Dott. Massimo Chessa