“Mi chiamo Serena, ho 14 anni, sono un rospetto tutta magra che è sopravvissuta a stento dall’esperienza traumatica delle medie. Andare al liceo è la mia grande occasione di riscatto, me lo sento: ho sognato tutta l’estate il mio primo giorno di scuola, con una classe nuova, nuovi amici, nessuno mi prenderà più in giro. Il liceo sarà fantastico: sono grande ormai, mi troverò un sacco di ragazzi, non so come farò a trovare il tempo di studiare.”
Lo ammetto la mia visione del liceo era un pochettino, come possiamo dire, esagerata, ma per tutta l’estate avevo sognato così tanto che il sogno mi sembrava ormai semplicemente la realtà. Continuavo a interrogare il fratellone e i suoi racconti mi sembravano episodi mitici degni delle più grandi avventure di Ulisse o dei Troiani. L’assemblea scolastica, gli scioperi, gli intervalli che, giurava mio fratello, servivano solo a baciare le ragazze.
Poi venne improvvisamente il giorno in cui tutti i miei sogni crollarono miseramente ai miei piedi: me lo ricordo ancora come fosse oggi.
A un pranzo, così con noncuranza, mio padre annunciò che il pomeriggio prima dell’inizio delle scuole avrei dovuto mettere l’Holter. Il che, come noi tutti sappiamo, avrebbe voluto dire andare a scuola con su l’Holter: quindi presentarsi davanti a tutti i compagni con tutti quei fili attaccati, far capire subito che ero “diversa”, dover spiegare che avevo un “problema” al cuore, che ero stata operata, che avevo una cicatrice.
Quanto urlai quel giorno contro i miei, quanto piansi. Non era possibile che stesse succedendo proprio a me: volevo scomparire, scappare, tutto pure di non farmi presentarmi il primo giorno di scuola con l’Holter.
Già mi immaginavo le reazioni dei miei compagni, già mi vedevo in un angolo della classe sola, a sentire il mio cuore battere forte forte e sperare che qualcuno avesse una parola gentile per me, nessun ragazzo mi avrebbe mai guardata e sarei morta zitella, senza aver ricevuto nemmeno un bacio, per colpa di quell’Holter.
A 14 anni ero molto suggestionabile e vedevo solo catastrofi imminenti e irrecuperabili nel mio futuro.
Pensare che quando avevo otto anni ero andata a scuola con l’Holter e mi era sembrata una cosa bellissima: l’avevo fatto vedere a tutti, mi ero fatta invidiare, mi sentivo più importante di tutti i bambini, raccontavo con dettagli raccapriccianti, e del tutto inventati, la mia operazione destando espressioni di meraviglia e di terrore che mi rendevano tutta orgogliosa. Tanto che quando tornai a casa chiesi a mio padre se potevo tenere su l’Holter per almeno tutto l’anno scolastico.
Ma a 14 anni le prospettive, si sa, sono completamente diverse.
Girando per la città i primi giorni di settembre mi continuavo a imbattere in ragazzine delle mia età, e le invidiavo tantissimo e le odiavo: perché non poteva capitare a loro di nascere cardiopatiche? Che cosa avevo fatto di male? Che sfiga era nascere con una cardiopatia congenita!
Dopo tanti pianti, urla, e musi ero riuscita a convincere i miei a non farmi andare il primo giorno di scuola: essere assente mi sembrava il male minore, anche se ugualmente terrificante.
Così mentre tutti si sedevano su banchi nuovi, si presentavano tra di loro, e sentivano le solite tiritere dei professori, io ero a letto con l’Holter, che mi prudeva, mi dava fastidio, mi tirava, provando una gran rabbia contro tutto, tutti, ma soprattutto contro il mio cuore.
Il giorno dopo ero emozionatissima, tremavo tutto, ma entrando in classe fui bravissima a mostrare un atteggiamento spavaldo e strafottente. Mi presentai dicendo, quasi urlando, “Io sono Serena” e mi sedetti nell’unico banco libero.
Quando il prof fece l’appello mi alzai per dare la mia giustificazione: lui iniziò a menarla che era strano fare assenza il primo giorno di scuola, e chiedendomi se ero stata male.
Lì di fianco alla cattedra, davanti a tutti, l’idea di rispondere che ero stata male, facendo anche solo balenare l’ipotesi che potevo essere malata mi sembrò agghiacciante.
Quindi risposi: “Ieri c’avevo da fare!”, lasciando il prof interdetto.
Quella risposta mi fece diventare una “figa” agli occhi di tutti improvvisamente: la ragazza che “c’aveva da fare” cose più importanti che andare a scuola, e che soprattutto riusciva a convincere i genitori a farla stare a casa. Wow, mi dicevano, tutti volevano parlare con me, conoscermi.
La mia vicina di banco, che sarebbe poi diventata una delle mie migliori amiche, mi confessò che lei il primo giorno di scuola era tutta emozionata e spaventata, e che avrebbe voluto essere come me che riuscivo a fregarmene bellamente (se solo avesse saputo la verità!)
Caspita, pensavo, in fondo essere cardiopatica porta anche dei vantaggi inaspettati.
Il mio “grande segreto” devo dire che resistette comunque poco: il lunedì successivo alla lezione di ginnastica il Prof ebbe la geniale idea di interrogarmi davanti a tutti, e con la delicatezza di un elefante, sulla mia condizione cardiaca.
Questa esperienza però mi fece capire delle cose molto importanti sull’essere cardiopatica:
- Per quanto riesci a nasconderti, a negare, a mistificare le cose prima o poi vengono fuori. E’ molto meglio quindi mettere le cose subito in chiaro, e dirle come vogliamo noi, piuttosto che farle dire da altri. Siamo noi i padroni della nostra vita!
- Per quanto possa essere una sfiga essere cardiopatiche, noi cardiopatici non siamo degli sfigati: siamo anzi delle persone che hanno una forza, una furbizia, una capacità di sopravvivere alle difficoltà della vita, che sia il primo giorno di scuola o altro, molto più grande degli altri.
- Non neghiamolo a volte siamo bravissimi a usare la nostra cardiopatia a nostro vantaggio, come non fare ginnastica quando non ne avevo voglia, fare finta di star male prima di un compito in classe di matematica, o farsi portare la cartella dal fratello più grande.
- Le cose bisogna portarle con stile: che sia la gonna nuova o che sia l’Holter, e non bisogna vergognarsi mai di quello che si è, questa è una chiave importante per la felicità e per avere una vita piena.
- Essere cardiopatica non preclude nessuna emozione della vita, e nessuna esperienza della vita, bella o brutta che sia, e bisogna avere il coraggio di puntare sempre al meglio e al massimo per noi, perché se non ce lo meritiamo noi chi se lo merita???
Lo confesso il liceo poi non è stato come me lo immaginavo, ma è stato bello lo stesso. Il mio primo bacio però l’ho avuto davvero nei suoi corridoi ed è stato meravigliosamente stupendo. Lui era uno figo spaziale e baciava da dio: rientrando in classe ero così scombussolata che presi un bel “inclassificabile” nell’interrogazione di matematica (convincere i miei che “inclassificabile” voleva dire che ero stata così brava da non poter nemmeno essere classificata si rivelò molto più difficile).
Buon primo giorno di scuola a tutti!!!
Serena